CARI GENITORI, LA COMPETIZIONE NON FA SCUOLA

In questi giorni le famiglie sono nel pieno del processo di scelta della scuola per i propri figli; si sono infatti aperte il 16 gennaio le iscrizioni per quei bambini e ragazzi che iniziano un nuovo ciclo di istruzione. La finestra per effettuare le iscrizioni si chiuderà il 6 febbraio. Da molti anni ormai il processo di scelta della scuola si è stato reso più complesso e, lungi dal ridursi alla scelta della scuola elementare o media del quartiere, dell’istituto superiore della tipologia più adatta o preferita dal ragazzo, più o meno vicino a casa, è divenuto un percorso di valutazione più o meno minuziosa e consapevole dei Piani dell’offerta formativa delle scuole, delle ‘curvature’ dei vari istituti: qual è la seconda lingua studiata? Si fa il CLIL? I laboratori come sono? Ci sono attività di recupero? E i progetti extrascolastici? La matematica si studia con metodo induttivo o deduttivo? E i viaggi di istruzione? Questo processo, in cui le famiglie si ritrovano a dover spesso valutare, da quel che gli viene mostrato, aspetti e caratteristiche della scuola su cui è possibile non siano sempre in grado di farsi un’opinione circostanziata e consapevole, è accompagnato dalle più disparate attività messe in campo dalla scuole per ‘farsi conoscere’: open day, lezioni aperte, microstage e chi più ne ha più ne metta. Attività che coinvolgono docenti, alunni e comitati genitori, all’insegna del ‘facciamo vedere com’è bella la nostra scuola’. Infine, da alcuni anni ormai, in tutto questo si è inserito uno strumento elaborato dalla Fondazione Agnelli, Eduscopio, che permette di mettere a confronto le scuole italiane, sulla base degli esiti finali degli allievi e dei risultati ottenuti negli anni successivi. Uno strumento che va sempre più raffinandosi ed è oggi, a dire dei suoi creatori, persino in grado di indicare le migliori scuole che preparano al lavoro e le migliori che preparano all’Università.

La Fondazione Agnelli, è inutile quasi dirlo, è ed è stata centrale nell’indicare la strada di sviluppo della scuola italiana, la strada che ci ha portato alla Buona Scuola, di cui il delegittimato governo in carica vorrebbe a breve varare gli ultimi e devastanti provvedimenti, saltando, al solito, i necessari passaggi di confronto con chi la scuola la fa e la vive. La Fondazione Agnelli ha guidato il percorso con cui al centro del processo di insegnamento e apprendimento si è posta la valutazione, le fantomatiche competenze, la corruzione di un ‘capitale umano’ efficiente e poco riflessivo. Un processo di cosiddetta modernizzazione eteroguidato dalle classi dominanti e tagliato sulle supposte esigenze delle imprese e del mercato.

Non è dunque un caso allora che Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, nelle parole riportate dalla giornalista Maria Teresa Martinengo su La stampa del 22 gennaio, suggerisca ai genitori che si trovano a scegliere la scuola dei loro figli, di intendere il tempo necessario alla ricerca come un «investimento». Secondo Gavosto la mappatura delle scuole italiane presenta molte diversità e questo viene ricondotto alla mancanza di «un sistema vero di valutazione dei risultati» [...] «c'è poca pressione per valorizzare le esperienze migliori come per sanzionare e poi migliorare le peggiori». Il linguaggio stesso di Gavosto dovrebbe mettere famiglie, allievi e lavoratori della scuola in allarme: investire il tempo, sistema di valutazione dei risultati, selezione dei migliori e dei peggiori. Mettere in competizione, dunque, fare della scelta formativa un investimento di risorse per ottenere un risultato che deve essere il migliore possibile per avere successo, fare carriera, riuscire. Una logica competitiva e aggressiva, che nulla c’entra con la formazione delle persone, dei cittadini, con i dettami stessi della Costituzione. Una logica che da un lato sta uccidendo la vera natura della scuola, che deve essere intrinsecamente cooperativa, inclusiva e aperta, mentre dall’altro spinge e sulla sottrazione di risorse, sul risparmio, sulla costruzione di una supposta efficienza. Un concetto di modernizzazione che si identifica con il prevalere delle tecniche didattiche e docimologiche sui contenuti e sulle discipline. Un sistema che dovrebbe mettersi al servizio dell’Europa della conoscenza, caricandosi sulle spalle l’immancabile compito di dare gambe e, soprattutto, braccia a un sistema economico e produttivo in profondissima crisi.

In effetti, Gavosto esprime molto bene il punto di vista della parte più avanzata delle classi dominanti italiane, quello che seguendo i modelli europei di istruzione si sforza disperatamente di misurare i risultati delle scuole, di adeguare il sistema scolastico alle esigenze di quello produttivo, di propagandare la “modernizzazione” della vecchia scuola italiana. Se poi la grande stampa italiana – da La stampa al Corriere della sera, da Repubblica al Sole 24 ore – segue così da vicino e dedica tanto spazio alla questione scolastica, ci conferma che quello dell’istruzione è un terreno fondamentale nella partita che si sta giocando in Italia e in Europa.

Da parte nostra bisogna cogliere il senso di questi reiterati interventi volti spesso ad alimentare velatamente una propaganda contro un sistema di istruzione uniforme e omogeneo che garantisca a tutti sul territorio italiano le medesime opportunità di emancipazione sociale. Occorre riportare il ragionamento collettivo sulla composizione di classe, su quali soggetti avanzano (pochi, sempre di meno) e quali retrocedono (tutti gli altri); sul senso delle discipline che si insegnano e sulle forme della trasmissione culturale; sull'assenza di prospettive che ormai non sfugge ai ragazzi che si avviano al diploma o a quelli che abbandonano gli studi; sul lavoro da fare per risollevare culturalmente e politicamente la classe docente e portarla a riprendersi una funzione alternativa a quella prospettata dalla Fondazione Agnelli.

Allora, come genitori, è importante essere consapevoli che il processo di scelta della scuola dei nostri figli si colloca in questo quadro è che i momenti di apertura delle scuole alle famiglie, lungi dall’essere quei momenti di festa e condivisione che ci appaiono quando li viviamo, sono costruiti nella logica della scuola vetrina e della competizione tra istituti, che le “buone pratiche” delle scuole “migliori” quasi mai vengono condivise e redistribuite su quelle in maggiore difficoltà, che dietro la patina dell’efficienza e dei risultati c’è una logica di modernità e successo che ci è imposta dall’alto, la quale risponde a un’idea di società e di futuro che forse non è quello che vogliamo per i nostri figli. È forse anche compito delle famiglie riappropriarsi di una logica condivisa, di una visione collettiva e ricordarsi, dunque, che l'unico modo per fare davvero il bene dei propri figli è fare in modo che anche i figli degli altri frequentino una scuola dignitosa in cui tutti gli allievi e gli studenti abbiano le stesse opportunità di crescita formativa. Sono questioni complesse è vero, ma è forse giunto il momento di tenerle presenti quando scegliamo per il futuro dei bambini e dei ragazzi e quindi per il futuro della società tutta.