Alternanza e chiamata diretta: perché gli interventi del Ministro Bussetti non cambieranno la sostanza
Il ministro dell’istruzione Bussetti è nuovamente intervenuto sull’Alternanza Scuola Lavoro, facendo chiaramente intendere che questo istituto verrà ridotto nella durata minima e spingendosi a dire che saranno le scuole a definire la durata dell’Alternanza. Ci rendiamo conto che queste dichiarazioni, insieme all’abolizione della chiamata diretta, facciano tirare un sospiro di sollievo a tutti i docenti, perché si tratta del depotenziamento di due tra gli aspetti più odiosi e impattanti della Legge 107.
Un sindacato però non può e non deve fermarsi alle dichiarazioni e ha il dovere di comprendere e spiegare il senso delle scelte di un Ministro che non crediamo affatto voglia distanziarsi dalle politiche seguite negli ultimi 20 anni da tutti i Ministri che si sono succeduti al dicastero dell’Istruzione. Politiche che vanno verso un impoverimento della scuola statale, uno svuotamento dei saperi, un sistema di istruzione e formazione piegato al mercato del lavoro e alle esigenze di impresa.
Pare che il Ministro abbia dichiarato durante il question time che non si può “ignorare che la realtà italiana è molto variegata e mancano in alcune zone strutture ospitanti adeguate [per svolgere l’Alternanza]”. Questo, unito al fatto che le scuole avranno il potere sì di ridurre, ma anche, eventualmente di aumentare le ore di alternanza, ci fa pensare che lo scopo sia mantenerla e al limite potenziarla, lì dove le aziende richiedono manodopera possibilmente gratuita, lì dove le aziende o gli enti hanno la possibilità di elaborare progetti che preparino i quadri intermedi e dirigenti del futuro. In queste dichiarazioni si legge chiaramente, ancora una volta l’intenzione di mettere la scuola al servizio delle aziende, però lì dove le aziende producono e l’economia ancora funziona. Si profila un allargamento della forbice tra aree che produttivamente tengono ed aree depresse, tra aree metropolitane sempre più al centro della produzione di valore, ed aree periferiche che restano escluse dal processo e diventano funzionali solo come serbatoio di forza lavoro. Questa dinamica non fa che riattivare la faglia storica dello sviluppo economico e sociale di questo paese, la questione meridionale che ne costituisce il carattere originale e che oggi si approfondisce e modifica dentro un processo ancora più ampio, quello della costruzione europea. A questo punto ci domandiamo: che ne è della scuola delle pari opportunità? Della scuola dell’emancipazione delle classi popolari? Della scuola del dettato costituzionale?
La soluzione non è adattare l’alternanza alle reali esigenze delle imprese, ma tornare a fare scuola per formare culturalmente, umanamente e civicamente i bambini e i ragazzi; è ripensare un sistema di istruzione e formazione che metta al centro gli interessi dei soggetti in formazione e non del mercato. Questo deve valere sia per i Licei che per i tecnici e i professionali, perché pare evidente che le trasformazioni dell’Alternanza, unite alla riforma dei professionali, mirino a impoverire ancora di più la formazione culturale in quelle scuole, che in questo modello devono fornire manodopera a basso costo. Di questo non vediamo traccia nelle intenzioni di questo Ministro e di questo Governo, perché significherebbe avere davvero la volontà di staccarsi dalle politiche europee che da decenni impoveriscono l’Italia e la condannano a un ruolo subordinato di fornitore di manodopera a basso costo nel contento europeo.
L’altro punto chiave su cui sta puntando il Ministro Bussetti è l’abolizione della chiamata diretta e non possiamo che esserne contenti: chiunque lavori nella scuola sa che è uno strumento di controllo della libertà dei docenti, di asservimento dei docenti più giovani ai voleri del dirigente e, nei casi più gravi, di nepotismo, il tutto nascosto sotto il velo sottile del “merito”, parola che copre da molti anni ogni vergogna del sistema di istruzione italiano. Ma se la chiamata diretta, che peraltro non ha mai funzionato, essendo un corpo estraneo nel modello di organizzazione della scuola statale, viene abolita, perché non vengono aboliti gli ambiti? Due ci sembrano le motivazioni più probabili, la prima di gestione spicciola del lavoro scolastico, è quella di scaricare sulle segreterie un lavoro immane che prima veniva svolto dagli uffici scolastici territoriali: essi sono sotto organico, ma altrettanto lo sono le segreterie. La soluzione non è certo scaricare da un pezzo all’altro dell’amministrazione il peso di un lavoro enorme. La soluzione è assumere personale, retribuirlo in modo adeguato e tornare a ritmi di lavoro sostenibili. Di questo nei progetti del ministero non vi è traccia e come potrebbe esserci se viviamo nell’Italia del pareggio di bilancio, dove la spesa pubblica è bloccata e tagliata?
La seconda motivazione per questa scelta ci sembra possa essere ancora più pericolosa e sposarsi con l’intenzione che la lega manifesta da tempo di “trattenere” chi entra in ruolo al nord, nel Nord Italia. Ma il problema della scuola non sono i docenti del Sud che, una volta entrati in ruolo, tentano giustamente di tornare a casa, dalle famiglie, dai figli. Il problema è che non si investe nella scuola, si prosegue, anzi si accentua, una politica di sviluppo diseguale, nel disperato tentativo di tenere il Nord del paese agganciato alle politiche economiche europee e di scaricare quel Sud che mai è stato oggetto di vere politiche di sviluppo, dall’Unità ad oggi.
USB crede che gli occhi vadano tenuti ben aperti e che non si debba pensare che ritocchi alla Buona Scuola, comunque funzionali al progetto di smantellamento della scuola statale e della sua funzione costituzionale, possano bastare, o essere addirittura la soluzione che ci permetta di tornare sereni nelle aule. La 107 va smantellata come le riforme precedenti, che dagli anni 2000 – a dire il vero dalla famigerata autonomia scolastica – snaturano la scuola e la impoveriscono, la scuola deve tornare realmente al centro del discorso, come luogo formativo ed educativo, non come fornitrice di lavoratori flessibili e sfruttabili.