Cattedre vuote e insegnanti disoccupati. Il paradosso della pessima politica scolastica
Le lezioni sono iniziate ormai da più di una settimana e, come ogni anno, affrontiamo la criticità della carenza di docenti, in particolar modo nelle regioni settentrionali e nella scuola primaria.
USB ha seguito da vicino le vicende degli insegnanti diplomati magistrali, abbindolati da un ricorso tardivo, da promesse impossibili da mantenere, delusi nelle speranze, per noi del tutto prive di fondamento, della riapertura delle GaE e, adesso, beffati ancora una volta: immessi in ruolo con la certezza della trasformazione del loro contratto a tempo indeterminato in supplenza.
Abbiamo seguito le fasi del concorso 2018, un vero concorso truffa, l’unico concorso Statale con il quale non si ottiene un contratto a tempo indeterminato ma una supplenza (e comunque questa prima fase riservata resta la meno precarizzante e sfruttante del percorso FiT), le cui graduatorie, in molti casi, ancora non sono state completate. Graduatorie che sono in ogni caso troppo scarne per coprire le reali esigenze delle scuole.
Continuiamo a seguire le problematiche legate alla carenza di insegnanti di sostegno specializzati a fronte di un numero sempre crescente di alunni e studenti in situazione di disabilità. Il tentativo di ridurre le ore di sostegno didattico attraverso il decreto 66/17, derivato dalla legge 107, non è ancora del tutto operativo e, da una prima stima, sono circa 10.000 gli insegnanti di sostegno ancora necessari a garantire il diritto allo studio degli alunni diversamente abili a detta del Ministro. In realtà parliamo di un fabbisogno che probabilmente è 5 volte superiore alle stime fatte, considerando che tra organico di diritto, di fatto e deroghe sono 50.000 i posti su cui lavorano, da anni, docenti non specializzati, la cui unica pecca è non avere avuto la possibilità di formarsi.
La carenza di insegnanti nel nord Italia è un dato strutturale, come l’assenza di insegnanti specializzati sul sostegno in ogni parte d’Italia. La mancanza di investimenti nelle assunzioni e nella formazione, attraverso percorsi di abilitazione e specializzazione, impedisce a chi vuole insegnare in modo sereno e stabile di accedere ai ruoli, di uscire dall’inferno della precarietà, di assicurare stabilità a se stesso e agli studenti.
Basti pensare alle migliaia cattedre vacanti nella primaria in Lombardia. Le graduatorie ad esaurimento sono vuote, ma il concorso per primaria e infanzia non è che alla fase embrionale. Recenti dichiarazioni del Ministro Bussetti indicano il 10 ottobre come data di pubblicazione del bando. Nel frattempo arrivano proclami su nuovi percorsi abilitanti per il sostegno.
Ed intanto, per quest’anno scolastico, l’incertezza è ancora totale. Tra assegnazioni provvisorie a lezioni iniziate, immissioni fallite per mancanza di aspiranti, concorsi non terminati, graduatorie d’istituto ancora non definitive, il precariato nel nord Italia sembra non avere soluzione e al sud anche peggio.
La “buona scuola”, che doveva porre fine a questo sistema aberrante, ha peggiorato la situazione, precarizzando il lavoro e la vita degli insegnanti di ruolo del sud trasferiti al nord e peggiorando notevolmente le attività delle scuole. L’attuale governo pensa di risolvere la problematica con il “domicilio lavorativo”, creando un impianto di blocco della mobilità per i neoassunti in nome della continuità didattica, senza però mettere mano alle soluzioni che USB Scuola propone da anni, seppur inascoltata e che intende riproporre al MIUR dove ha già chiesto un incontro con il nuovo ministro:
- Assunzione immediata dei docenti con 3 anni di servizio;
- Trasformazione dell’organico di fatto in diritto;
- Realizzazione del tempo pieno e prolungato nelle scuole del Sud Italia e suo ripristino al Nord;
- Riduzione del numero degli alunni per classe;
- Trasformazione dell’organico di sostegno in deroga in organico di diritto;
- Un piano di assunzioni del personale ATA basato sulle reali necessità delle scuole;
- Un serio piano di investimento sulla Scuola Pubblica, anche attraverso il taglio dei finanziamenti alle scuole private.
Queste soluzioni non solo permetterebbero a chi è stato allontanato dalla provincia, in cui ha lavorato anche per decenni, di rientrare, ma il recupero di posti di lavoro e, quindi, la stabilizzazione per i lavoratori della scuola ancora precari.