CPIA, una riflessione

Sono passati due anni dall’avvio dei CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli
Adulti), che hanno sostituito i CTP (Centri Territoriali Permanenti) ridefinendo i lineamenti dell’istruzione secondaria di primo grado destinata agli adulti (ora definita percorso formativo di primo livello, mentre i percorsi formativi di secondo livello sono gli ex “corsi serali” delle superiori che però, al momento, non sono stati inclusi nei CPIA ma restano “incardinati” negli istituti che li ospitano). Questo settore è sovente poco conosciuto dagli stessi “addetti ai lavori”. Per questo vale la pena dare un’occhiata a una realtà che, se non proprio paradigmatica, nel suo complesso è comunque indicativa della logica che guida chi attualmente amministra l’istruzione pubblica.
Un avvio non uniforme che ha avuto luogo a “macchie di leopardo” sul territorio: in
alcune regioni è partito due anni fa e in altre lo scorso anno. Per quanto riguarda gli ex CTP va detto che sono sempre stati “ospitati” negli Istituti Comprensivi, poiché il D.M del 2007 conferiva loro un’autonomia amministrativa e didattica solo teorica, permanendo senza sedi e dirigenze proprie nella realtà dei fatti. Successivamente il DPR 263 del 2012 ha, dopo un lungo periodi di annunci, normato la trasformazione dei CTP in CPIA, al solito “senza oneri per lo Stato”, da un lato unendoli (in maniera non chiara), ai bienni delle scuole serali superiori (i percorsi formativi di secondo livello di cui sopra), dall’altro rendendoli indipendenti dagli istituti comprensivi e dotandoli di dirigenze didattiche e amministrative.
Si tenga conto inoltre che i CPIA possono anche essere “anomali” cioè interprovinciali, con distanze anche superiori ai 100 km tra una sede e l’altra, come per esempio i CPIA di Viterbo e di Rieti che comprendono ex CTP che vanno da Civitavecchia a Ostia passando per Fiumicino o da Campagnano a Subiaco passando per Monterotondo e
Guidonia. Una situazione che rende difficile anche l’ordinario: anche riparare una
fotocopiatrice si è dimostrato a volte una vera e propria mission impossible. I CPIA in
sostanza non sono, come si voleva far credere inizialmente, una “rete di scuole”, ma sono dei centri a struttura piramidale con una sede centrale che controlla gli ex CTP i quali forniscono i vari “servizi” con a capo dei dirigenti - non di rado più realisti del re - che chiedono ai docenti di completare l’orario di servizio in sedi dislocate in città lontane come se si trattasse di un istituto unico.
Queste kafkiane trappole amministrative non riguardano solo i vecchi lavoratori, ma
anche gli ignari neoassunti che si ritrovano sbalzati fuori provincia, senza averne fatto
richiesta, in centri che lavorano su turni mattutini, pomeridiani e serali (si veda in proposito l’artico:

www.orizzontescuola.it/news/mobilit-scuola-docenti-cpia-e-ctp-come-ordinare-sedipossibili-eliminare-ctp-anomali

che giustamente spiega come difendersi dal pericolo
rappresentato da questo tipo di CPIA trabocchetto).
La scuola pubblica insomma viene sempre più assimilata ad una azienda privata con i
suoi “utenti” e con i suoi “dirigenti” chiamati a riorganizzare (cioè tagliare) personale e
attività e lo stesso termine “educazione” (degli adulti) sembra essere scomparso dal
panorama. Proprio come succede nelle aziende che si vogliono smobilitare più che
riorganizzare, si è assistito in diversi casi alla patetica partenza di strutture amministrative che hanno dovuto lasciare i vecchi istituti ospitanti alla ricerca di una sede, spesso provvisoria, ad anno scolastico già iniziato, dovendo contemporaneamente gestire anche cinque centri sparsi su un vasto territorio. Stessa sorte in alcuni casi è toccata anche alle “filiali”, gli ex CTP, con le scuole ospitanti che hanno cercato (e cercano) di liberarsi delle fastidiose e ingombranti presenze soprattutto ora che non portano più “quattrini”. Per non parlare poi delle proposte indecenti presentate dalle amministrazioni locali che dovrebbero occuparsi di fornire sedi alternative adeguate (ho personalmente assistito alla proposta di sistemazione in un container dal tetto sfondato, del quale veniva assicurata la non pericolosità in caso di allagamento da temporale!).
Del resto i CPIA sono stati concepiti con una chiara intenzione devastatrice, come
ammesso addirittura anche da qualche fonte sindacale di “regime”, per consentire ai privati di pascolare indisturbati nei campi attualmente occupati dall’istruzione pubblica. Il colpo però non è ancora andato completamente a segno, anche se i rappresentanti degli interessi privati hanno cercato di eliminare dai CPIA almeno le attività utili per una crescita culturale e professionale. Parliamo dei corsi di lingua straniera (“che se li paghino i corsi d’inglese” ringhiava pubblicamente un dirigente di scuola pubblica in preda a un sacro furore da privatizzazione), dei corsi di informatica di base e persino di buona parte dell’italiano L2; ai CPIA vengono assurdamente riconosciuti ai fini dell’organico solo gli iscritti ai corsi di italiano livello A2, cioè quello utile - ma guarda un po’ - per i permessi amministrativi degli stranieri e chi dovrebbe dunque portarli a tale livello o farli avanzare nella conoscenza della lingua italiana, solo i privati?
Nell’attuale fase di incertezza nei CPIA e negli ex CTP più che altro si procede con
cautela, tra patti formativi, programmazione obbligatoria per Unità di Apprendimento,
accertamento e certificazione delle competenze (preludio all’eliminazione del valore legale del titolo di studio?) e altre facezie derivate dall’ideologia neoliberista della scuola-azienda a costo zero (ma fondi da dare ai privati per iniziative sostanzialmente inutili si trovano sempre e chi si è occupato di CTP lo sa bene). Un po’ come nella scena finale del film “Gli uccelli” di Hitchcock dove, mentre qualcuno fugge, ci si interroga su quale debba essere la sorte di quelli che, malgrado tutto, restano.