Dimissioni di Fioramonti: perché in Italia non si investe nella scuola
La notizia delle dimissioni del Ministro dell'Istruzione, Lorenzo Fioramonti, è da ieri al centro del dibattito politico. Vogliamo provare a fare un ragionamento che si stacchi dalle contingenze sugli elementi di instabilità politica e di tenuta del governo, ma vogliamo provare anche a non attestarci su una riflessione che accomuna tante forze politiche e sindacali, che plaudono al gesto di coerenza personale e di rivendicazione del ruolo dell’istruzione, ma si guardano bene (così come l’ex ministro) dal nominare quei nodi strutturali che determinano e determineranno ancora a lungo le scelte di questo e dei prossimi governi.
Questo discorso va inserito in una prospettiva decisamente più ampia: i mancati investimenti nella scuola, anzi la totale assenza di un reale progetto di investimento nella formazione delle proprie forze produttive è l'altra faccia della medaglia della totale assenza di una politica industriale per questo paese. Nello stesso modo in cui si abbandonano le grandi aziende che dovrebbero essere il fulcro della politica industriale del paese, la vicenda dell'ex ILVA è in questo senso paradigmatica, così si abbandona il sistema di istruzione nazionale, o al massimo si pensa di finanziarlo con tasse di scopo, come proposto dall'ex ministro Fioramonti.
Questo governo, i governi precedenti e quelli che verranno, a giudicare dal livello del dibattito, non riescono ad immaginare un modello che faccia ripartire il cosiddetto sistema Italia. USB lo dice da tempo: nel sistema dell'UE, che i governi italiani hanno subito e subiscono in modo imbelle, non c'è spazio per investire in una reale crescita del Paese e quindi anche nel sistema di istruzione. Un paese che si è ridotto ad essere un hub per lo spostamento di merci prodotte in gran parte altrove, un luna park per i ricchi del nord Europa, un paese senza politiche di sviluppo industriale, guidato da una classe politica inetta e priva di capacità progettuali di qualunque tipo non ha la capacità di investire nella scuola, così come non sa pensare ad un piano di investimenti pubblici per il rilancio del proprio tessuto industriale, che non preveda la svendita di tale tessuto alle multinazionali.
USB ribadisce che vi è una sola strada per uscire da questa condizione inaccettabile, fatta di povertà e precarietà diffusa, di stipendi inaccettabili, di disoccupazione giovanile, di scuole che crollano, di docenti e ATA sottopagati e giudicati inefficienti, di un sistema di istruzione impoverito nei contenuti e negli strumenti. Essa non è un mero richiamo al dettato costituzionale o ad un passato che non può tornare, bensì il coraggio di scegliere una via che sia sottragga al capestro UE e al ruolo di paese pigs con una politica pubblica di investimento nel sistema di formazione e in quello produttivo, che metta al centro gli interessi della popolazione, la difesa e la tutela del paesaggio, lo sganciamento dell’Italia da Nato e UE: il vero coraggio non sta nel dimettersi, ma nell’iniziare a discutere di questi nodi.