L'ATTACCO ALLO STATO SOCIALE E L'INGANNO DELL'INCLUSIONE

Il diritto allo studio negato: dalle circolari sui BES alla legge delega sull'inclusione

Da qualche anno, in coincidenza con l’avvio della discussione sui BES (bisogni educativi speciali), una delle parole più usate e abusate nella scuola italiana è inclusione. Dietro un termine suggestivo e affascinante – ispirato all’idea del “progetto di vita”, che richiama la capacità della scuola di intervenire sui bisogni speciali di alcune categorie di studenti, e che solletica l’orgoglio degli insegnanti dando l’illusione di riconoscere loro un ruolo, una funzione e un’importanza sociale che d’altra parte gli si nega col blocco del contratto – si nasconde un progetto molto meno nobile di smantellamento del sistema di diritti, regolamentato dalla legislazione scolastica legata alla legge 104/92, che negli ultimi vent’anni ha quanto meno permesso l’uscita degli alunni con disabilità dal limbo delle scuole speciali.

Il progetto di integrazione scolastica che sottende alla legge 104 e alle sue applicazioni nella scuola non ha ancora dato i suoi frutti, soprattutto a causa degli ostacoli burocratici che i vari governi che si sono succeduti hanno frapposto. Di anno in anno, ad esempio, il numero degli insegnanti previsto per ogni alunno con disabilità è stato ridotto d’ufficio dal ministero, attraverso circolari redatte in aperto contrasto con la normativa vigente, fino a prevedere talvolta un rapporto di uno a quattro tra insegnante di sostegno e alunni. Tutto ciò sempre in nome del contenimento della spesa, principio cardine che sembra ormai l’unica idea guida delle politiche scolastiche dei diversi governi in carica. In questo quadro tipicamente italiano, fatto – come spesso accade - di buone leggi e cattive pratiche, si inseriscono la questione dei BES e il tema dell’inclusione, comodi strumenti per trasformare le cattive pratiche in pessime leggi.

Era il 2012 quando, in totale assenza di una legislazione specifica, il ministero tirava fuori dal cappello, con una semplice circolare, la categoria degli alunni con Bisogni Educativi Speciali, investendo i consigli di classe del compito di individuarli e segnalarli. Era da facili profeti intravedere da subito nella nuova categoria dei BES e nel fumo dell’inclusione i rischi per il futuro del sostegno scolastico. Oggi, a quattro anni di distanza, il governo si appresta a modificare da solo, come gli è concesso dalle ampie deleghe previste dalla legge 107, la legislazione sul sostegno. Dalle anticipazioni giornalistiche scopriamo che il governo sta lavorando a un modello che prevede la presenza nelle scuole di un nucleo ristretto di operatori del sostegno specializzati, pronti a intervenire di volta in volta nelle situazioni più delicate, mentre la gestione quotidiana degli alunni con disabilità sarà affidata a tutti i membri del consiglio di classe anche se privi di una formazione specifica. La gestione quotidiana degli alunni con disabilità è già, come prevede la legge, una prerogativa di tutto il consiglio di classe di cui gli insegnanti di sostegno sono parte integrante; va da sé, quindi, che l’unica novità riguarderà, evidentemente, il numero (ancora più ridotto) degli insegnanti di sostegno e le mansioni meramente burocratiche di alcuni di loro, i quali diventeranno dei tecnici d’istituto demansionati, slegati dal delicato processo quotidiano di apprendimento degli alunni più bisognosi.

Tale progetto segnerebbe la fine dell’integrazione scolastica, l’unica possibile qui e ora, a tutto vantaggio di un’idea vaga di inclusione senza luogo e senza tempo, che investe la scuola di una responsabilità sociale, che con le sue scarse risorse non può assumersi e non deve assumersi. Al di là della falsa retorica con cui si tenta talvolta di blandire le comprensibili frustrazioni di una categoria di lavoratori maltrattati, gli insegnanti non sono gli eroi dei giorni nostri, i salvatori della patria, e la scuola non è la fucina dove si forgia la società del futuro, ma essa stessa una parte della società. L’inclusione non si fa a scuola, ma nella società, dotando il territorio di una rete di servizi in grado di guidare i giovani, insieme alla scuola, nella realizzazione di un progetto di vita che sfoci, infine, in un lavoro dignitoso.

Quale progetto di vita possiamo offrire oggi in questo paese omologato verso il basso? Quale inclusione possiamo offrire agli alunni con disabilità, ai giovani immigrati, ai mille “diversi” che frequentano le nostre scuole, nell’Italia del Jobs Act e della legge Bossi-Fini?

In quest’Italia che procede a tappe forzate verso la distruzione dello Stato sociale, i disabili non saranno mai diversamente abili e le belle parole sull’inclusione, realizzata tra i tagli e i mille modi di ridurre i costi della spesa pubblica, serviranno solo a nascondere l’attacco finale al diritto allo studio dei giovani più svantaggiati.