Piano di Formazione obbligatoria, ovvero la scuola europea delle competenze. Prime indicazioni ai collegi docenti

Il 3 ottobre, il MIUR ha reso noto il Piano Nazionale di Formazione per i docenti. Da quella data riceviamo continue richieste di chiarimento da colleghi preoccupati di quello che tale piano può comportare, anche e soprattutto perché i Dirigenti Scolastici stanno operando pressioni sui Collegi Docenti per approvare piani di Formazione di Istituto, facendo leva sul fatto che il Piano emanato dal Ministro prevede l’obbligatorietà della formazione, senza dare alcuna chiara indicazione sulla quantità di ore obbligatorie che ogni docente dovrebbe frequentare. Il motto dei dirigenti è: meglio portarsi avanti che rischiare di trovarsi impreparati!

L’argomento e il Piano in questione meritano ben altro tipo di approfondimento – stiamo già predisponendo la seconda parte del documento presentato al MIUR per l'incontro dell'8 Novembre, quella su Formazione obbligatoria e Alternanza scuola-lavoro, i due pilastri ideologici della 107 –  ma forse vale la pena di fare alcune osservazioni preliminari e dare alcune indicazioni operative ai colleghi per potersi difendere da quello che sembra configurarsi come un vero e proprio attacco alla libertà di insegnamento:

1.            Il piano è calato dall’alto del Ministero sui docenti, senza alcuna chiamata in causa di chi la scuola la vive e la fa ogni giorno. A giustificazione di questa pratica scorretta, si utilizzano i dati raccolti dai portofolio dei neoassunti degli ultimi anni, ovvero dati che siamo stati obbligati a fornire e che non sapevamo sarebbero utilizzati in questo modo;

2.            Il piano definisce in modo autoritario ed estremamente burocratico quali siano gli ambiti di formazione, che devono rispondere alle priorità nazionali (lingue, competenze digitali, inclusione e integrazione, didattica per competenze, autonomia), ma anche a quelle delle singole scuole o delle reti di scuole (in base ai piani di miglioramento) e infine a quelle di ogni singolo docente. È evidente che pensare di mettere d’accordo tutte queste istanze, risulterà estremamente difficile. Il risultato sarà l’imposizione dei percorsi formativi e degli enti presso i quali svolgerli, da pagare con i 500 €, configurando una “partita di giro”, i cui elementi corruttivi crediamo siano chiari a tutti.

3.            Nel piano, le discipline appaiono assolutamente in secondo piano, mentre grande rilievo assumono tutti gli aspetti collaterali, metodologici e tecnici, sempre e ancora nella direzione di renderci ottimi tecnici della didattica, ma non docenti che formano menti e spiriti critici;

4.            Il piano è strettamente collegato alla raccolta dei portfolio formativi del corpo docente, ovvero va ancora e sempre nella direzione di una aziendalizzazione e di una sorta di schedatura del corpo docente: quali percorsi e perché dovrebbero valere più di altri? Come saranno utilizzati i dati raccolti su ognuno di noi? Evidentemente si stabilirà una relazione fra percorsi formativi e progressioni di carriera.

5.            Il piano non riporta in alcun passaggio un’indicazione chiara della consistenza di questi percorsi formativi obbligatori. Le ultimissime indiscrezioni parlano di obbligatorietà sui percorsi ma non sul numero di ore.

In un contesto così ambiguo e autoritario ci sentiamo di indicare come unica strada la resistenza verso l’applicazione di tale piano. In questo senso consigliamo a tutti di non deliberare alcun Piano Formativo, tanto meno obbligatorio, nel corso dei collegi docenti e di attendere i decreti attuativi che si spera possano chiarire meglio questa situazione che si profila come l’ennesima imposizione dall’alto su un corpo di lavoratori già provato ed oberato.

 A tal proposito ricordiamo che quella in oggetto è materia di contrattazione nazionale e che solo il contratto stabilisce in che termini e modalità un docente si debba formare, ma anche che la libertà di insegnamento prevista dalla Costituzione ci permette “ancora” di scegliere come, dove e quando vogliamo formarci.

Per concludere: in alcune scuole in cui sono presenti nostre RSU stiamo cercando di affrontare la questione in maniera più attiva, indirizzando il collegio verso percorsi di formazione in grado di ribaltare senso, metodi, strumenti della formazione, in una direzione critica rispetto alla scuola delle competenze. Stiamo premendo perché questi percorsi si svolgano in orario di servizio, così come oggi prevede il contratto. Lo stiamo infine facendo nell'ottica dell'autoformazione dei lavoratori della scuola, accettando il terreno di scontro che si sta profilando con l'imposizione di modelli standardizzati di insegnamento.

Siamo a disposizione di chiunque voglia provare ad aprire nella propria scuola questa importante discussione. Oggi meno che mai è pensabile che la ripresa di un ruolo di emancipazione della scuola in Italia possa passare da insegnanti deboli contrattualmente e culturalmente. La difesa dei diritti deve andare di pari passo con lo sviluppo di un pensiero in grado di rompere con il modello di modernizzazione distorto che l'«Europa della Conoscenza» vuole imporre da più di vent'anni.