Su teledidattica, riunioni on line, sospensione e chiusura scuole ai tempi del coronavirus

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Gli studenti e i docenti di molte scuole del Nord Italia sono stati invitati, in queste settimane di chiusura delle scuole prima e di sospensione delle attività didattiche ora, a proseguire la didattica interrotta per forza maggiore per le misure di contenimento del Coronavirus. Apripista in questa pratica, incoraggiata peraltro dalla circolare del MIUR, l’istituto Tosi di Varese, eccellenza lombarda e nazionale secondo la classifica della Fondazione Agnelli, che ha deciso di sostituire la didattica in presenza con quella on line, con tanto di appello ad inizio lezione e conteggio delle assenze.

La scuola è chiusa, ma si fa scuola lo stesso.

Online.

Nonsense? Una contraddizione logica? Ebbene si tratta proprio di questo. Perché nel modello della scuola-azienda quello che si sta perdendo è il significato di cosa significa "fare scuola".

La relazione tra chi ha più esperienza e chi ne ha meno è da millenni la base della formazione e dell’educazione. Per insegnare è importante guardarsi negli occhi, interagire in presenza. Nessuno nega che la didattica a distanza e le moderne tecnologie digitali possano portare valore aggiunto al processo di insegnamento e apprendimento, ma non possono in alcun modo sostituire la didattica dal vivo e la relazione docente/discente. Ci chiediamo, come docenti e come educatori, cosa ne pensi la comunità scientifica delle schiere di pedagogisti che nella formazione delle SSIS, dei TFA, dei corsi di specializzazione hanno investito ore e ore per parlare di didattica inclusiva (immaginiamo che anche i docenti di sostegno svolgeranno il proprio affiancamento agli studenti con disabilità in versione on demand), di setting, di cooperative learning, di interdisciplinarietà... Pensiamo davvero che fare scuola sia fare e basta? Trasmettere due contenuti nell'etere a distanza a prescindere dalla relazione umana?

Ma si tratta di un’emergenza, ci direte. Certo, un’emergenza in atto da una sola settimana, che già produce quella che per noi è una distorsione. Non possiamo non chiederci se l’emergenza venga usata per far passare modalità didattiche che altrimenti non sarebbero mai accettabili per il corpo docente.

Il Coronavirus si sta rivelando per il MIUR, ci sembra, una ghiotta occasione per sperimentare uno shock and wave con tentativi di limitazione al diritto di sciopero (è noto ormai il fermo invito della commissione di garanzia a non scioperare addirittura fino al 31 marzo), sperimentazione di teledidattica online e la perversa condizione schizofrenica del corpo studentesco che nelle scuole dell'Emilia Romagna viene spedito in alternanza scuola lavoro perché le aziende non sono state chiuse e quindi lì si prosegue. Evidentemente il pericolo di contagio per i giovani in formazione sussiste solo nelle aule scolastiche, non nei luoghi di lavoro.

Noi crediamo che la soluzione al disagio della chiusura delle scuole non possa e non debba essere una teledidattica, spesso peraltro improvvisata, che può al massimo essere un complemento del rapporto in presenza. Ricordiamo ai colleghi che stanno pensando che “in fondo non è così grave”, che questa esperienza costituisce un precedente pericoloso e che le teorie pedagogiche che ci spingono a sviluppare le competenze invece dei saperi, che mirano a rendere superfluo il momento della relazione didattica diretta e della spiegazione, sono quelle che stanno trasformando il modo di fare scuola, impoverendo la preparazione dei nostri studenti e svalutando il nostro lavoro. Non possiamo non pensare che l’obiettivo, seppur ancora lontano, sia quello di rendere superflua la presenza del docente e la relazione in un’ottica spersonalizzante, efficientista e aziendalista.

Infine ci sembra importante ricordare che il telelavoro, modalità che potrebbe alleggerire il carico di lavoro di ognuno, se ben gestita, viene utilizzate in questo contesto iperliberista come modalità per dilatare i tempi di lavoro, per rendere vago il confine tra la propria vita privata e quella lavorativa: sostanzialmente è un modo per prolungare il tempo che si dedica a lavorare e produrre. Questo non può e non deve essere dimenticato!

Ricordiamo inoltre ai sindacati che attualmente sono firmatari di contratto che qualunque deroga al testo unico, più volte posto sotto attacco in questi anni, e al CCNL Scuola si configura come un pericoloso precedente del quale qualcuno dovrà prendersi la responsabilità in futuro e che le scelte didattiche sono ancora prerogativa del collegio docenti, che, piaccia o meno, va convocato in presenza.

Di seguito riportiamo alcuni chiarimenti essenziali su cosa si deve, non si deve e si può fare in queste settimane.

 

FAQ

Differenza tra la dicitura “sospensione attività didattiche” e “chiusura scuole”

In caso di chiusura docenti e personale ATA non devono recarsi sul luogo di lavoro e non sono tenuti al recupero, anche se si dovesse sforare il limite dei 200 giorni di attività didattica.

In caso di sospensione delle attività didattiche, invece, la scuola resta aperta e non si svolgono lezioni. In questo caso il personale ATA è tenuto a recarsi a scuola e, se impossibilitato a raggiungere la scuola, dovrà giustificare l'assenza ricorrendo ai permessi del CCNL (ferie o permessi retribuiti). Il personale docente, invece, non è tenuto ad andare a scuola a meno che non siano in programma delle attività collegiali come da piano annuale approvato a inizio anno scolastico (collegi docenti, consigli di classe e interclasse).

Il dirigente scolastico può rinviare tali attività già preventivate nel caso non vi sia urgenza di svolgimento.

NB. Sappiamo che molti DS stanno convocando le attività programmate on line, prevedendo riunioni a distanza. Data la straordinarietà della situazione questa pratica può avere senso purché siano rispettate tutte le prerogative del Collegio e i diritti dei suoi partecipanti, in particolare la possibilità di votare in modo consapevole. Potete comunque scegliere di presentarvi a scuola all’orario previsto.

180 giorni, anno di prova e anzianità di servizio

Come affermato dall'articolo 1256 del Codice civile:

“L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore (nel nostro caso il lavoratore della scuola), la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo dell’adempimento”. Ciò significa che i giorni di chiusura per causa di forza maggiore sono assimilati a servizio effettivo prestato.

Pertanto tali giorni sono utili sia per il conteggio dei giorni utili per l’anno di prova, per la proroga e la conferma di una supplenza, per l'anzianità di servizio ai fini delle graduatorie di istituto, per l'anzianità di servizio, nonché ai fini stipendiali di carriera e previdenziali.

La chiusura delle scuole e la materiale impossibilità per il personale di assumere o svolgere servizio si configura come una causa di forza maggiore che non può incidere sulle posizioni giuridiche soggettive, previdenziali ed assistenziali, né sul diritto all’ intera retribuzione mensile come più volte anche richiamato dalle circolari MIUR.

Richiesta/obbligo da parte dei DS di effettuare la teledidattica

Essa può essere adottata solo se è stata deliberata dal Collegio dei Docenti e approvata dal Consiglio di Istituto. Non può in alcun modo essere imposta da una mail dei dirigenti scolastici. Eventuali lezioni in videoconferenza si possono tenere solo nel proprio orario di servizio e non possono richiedere, se la modalità non è stata approvata da un Collegio, la presenza obbligatoria degli studenti.

Ci teniamo a sottolineare che una cosa è trovare coi propri studenti modalità informali e condivise per non lasciare in difficoltà soprattutto le classi finali in questi 15 giorni, un'altra cosa è obbligare ad effettuare una teledidattica mai approvata dall’intera comunità scolastica, mai sperimentata, e mai condivisa.